Le fiere sono un campo aperto dove le piccole imprese che vogliono crescere si confrontano con il mercato internazionale e con mercati nuovi, aspettandosi di aprirsi a mercati esteri e confrontarsi con la concorrenza. Si trovano a diretto contatto con i leader del settore, sono un’arena competitiva molto aperta e adatta alle aziende coraggiose che vogliono provare a crescere. Si possono osservare soprattutto le piccole imprese manifatturiere, che sono una determinante molto importante per la competitività dell’industria italiana.
Il campione delle aziende espositrici è formato da piccole imprese più che da imprese micro. Il 50% è costituito da imprese da 10-49 dipendenti, che operano soprattutto nei settori più forti del made in Italy: moda, arredamento, meccanica, soprattutto strumentale, e settore del food e Ospitality. Sono imprese che producono soprattutto beni finiti (62%), si tratta quindi piccole imprese che vanno direttamente sul mercato, anche se è presente circa un 20% ciascuno che producono beni strumentali e semilavorati. Prevalentemente sono imprese che hanno un marchio proprio (65%), ma fanno anche produzione conto terzi (32%).
Sono dei grandi esportatori pur essendo di dimensioni limitate. Nel 2021 il 36% di queste imprese esportava più del 50% del fatturato, una quota piuttosto elevata, anche se in calo rispetto alla situazione pre pandemia (44%). Questo è dovuto anche al fatto che nel 2020 e 2021 non ci sono state fiere, perciò soprattutto le realtà più piccole hanno avuto pochi momenti di contatto con il mercato estero e l’export si è infatti concentrato, secondo ICE, su pochi grandi esportatori. La cosa positiva è che dando uno sguardo lungo dal 2007 ad oggi, la quota di imprese che fanno fiere e non esporta è calata tantissimo: è presente solo un 10% di imprese espositrici che non hanno un’attività di export, rispetto al 22% del 2007.
Sono imprese che esportano regolarmente in 13 paesi, che confrontato con la media nazionale di 2,5 paesi fa capire quanto siano molto internazionalizzate. Tipicamente esportano verso paesi europei, ma anche verso gli Stati Uniti (23%). La Russia è il sesto paese (10%), principalmente per il settore dell’arredamento e delle calzature (dove raggiunge il terzo posto).
Le catene di fornitura delle piccole imprese
Il 56% degli esportatori italiani produce anche su commessa o in subfornitura, realizzando un fatturato del 30%. All’interno della catena hanno tipicamente molti committenti (in media 59), ma il committente principale è importante perché assorbe circa un quarto del fatturato.
Le commesse estere sono l’11%, di cui i più attivi sono le medie imprese nel settore della meccanica.
Per quanto riguarda la tipologia di catena di fornitura, più del 71% sono catene collaborative, dove le decisioni sulla produzione vengono prese in modo collegiale. Il driver per cui le imprese decidono di entrare nelle catene di fornitura sono le competenze tecniche (58%), il prezzo conta di meno.
La fonte di approvvigionamento è prevalentemente nazionale, si tratta quindi di piccole o medie imprese che si approvvigionano in Italia, soprattutto all’interno della propria regione (41%). Più marginale l’approvvigionamento in Europa (15%) e in paesi extra-europei (11%).
Introduzione di nuovi fornitori
Il 9% delle imprese ha introdotto nuovi fornitori (si alza e arriva al 14% nel caso degli espositori medio-grandi), ricercando partner vicini all’azienda per evitare rotture nelle catene e «tecnologicamente avanzati» per essere partner di progetti innovativi (44%). Non è solo una risposta urgente allo shock, ma una risposta di tipo strategico. Anche in questo caso i nuovi fornitori vengono ricercati nelle vicinanze dell’azienda (32%).
Internalizzazione come scelta strategica
Non solo l’introduzione di nuovi fornitori, ma anche l’internalizzazione è stata attuata come risposta strategica alla pandemia: il 15% degli espositori ha portato fasi di lavoro all’interno della propria azienda, una quota che si eleva al 22% nel caso di espositori che lavorano in subfornitura. Si tratta di aziende che hanno visto aumentare gli ordinativi nei loro confronti, hanno visto il rebound dell’economia dopo la crisi della pandemia e non sono state in grado da sole di affrontare dapprima lo shock in negativo e poi l’aumento improvviso della domanda.
Questa scelta di internalizzare è dovuta principalmente alla volontà di avere un maggiore controllo sulla qualità (55%) e avere maggiori garanzie sui tempi di consegna (44%).
Si tratta di una scelta più strategica piuttosto che una scelta legata alla contingenza della pandemia (21%).